Da più parti Airbnb è indicata come l’azienda più dirompente del settore turistico e come la prossima candidata a rivoluzionare il settore travel. Ecco sette motivi per cui la rivoluzione potrebbe non fermarsi al settore ricettivo ma riguardare l’intero comparto del turismo:

1) Journey: il test dei pacchetti viaggio in salsa Airbnb

airbnb2-1200x815Notizia di pochi giorni fa è che Airbnb ha iniziato a testare nella città di San Francisco il servizio Journey: un pacchetto di viaggio completo che comprende una visita della città organizzata da Airbnb sulla base degli interessi del visitatore, con escursioni da 3 a 5 giorni. Si tratta solo di un test, è vero. E come Amazon insegna non sempre i test vanno a buon fine. Ma è un segnale di un interesse della multinazionale nel voler coprire più momenti del di viaggio di un turista con un occhio particolare alla personalizzazione dell’esperienza. Qualcosa che è molto più simile ai servizi di un’agenzia viaggi rispetto a quello che si è visto finora tra le Online Travel Agency.

2) Una minaccia per le Ota: potrebbero distribuire anche gli hotel

Molte Ota minimizzano: Airbnb non rappresenta una reale minaccia. Non più tardi di ieri Expedia ha dichiarato che l’unico effetto rilevato su Airbnb è una maggiore competizione sul prezzo nelle aree dove è più diffuso. La verità però è che hanno una piattaforma del tutto simile a quella delle Ota, con calendario di prenotazione, sistema di pagamento e recensioni. Recensioni che, a differenza delle Ota, sono a doppio senso: su Airbnb gli hotel potrebbero recensire i clienti. Nei fatti per Airbnb andare sugli hotel, magari con un marchio differente o con una inventory particolare, sarebbe poco più di una estensione dell’offerta attuale.

3) Scelta dei canali distributivi: non cedono alle lusinghe dei metasearch

Nei mesi scorsi sono nati i primi metasearch di appartamenti per vacanze e hanno tutti una cosa in comune: l’assenza di Airbnb che per ora ha rifiutato di stringere accordi con questi portali. Bisogna vedere cosa succederà quando questi strumenti si diffonderanno maggiormente, ma attualmente Airbnb ha una forza tale nel suo settore da poter scegliere i propri canali distributivi.

4) Educano il mercato a tariffe trasparenti e a pagare prima

Airbnb è il primo sito che in fase di prenotazione inserisce nero su bianco la quota delle proprie commissioni e il netto che andrà all’host. E’ un nuovo modo di intermediare agli antipodi delle tariffe opache a cui si è abituati nel settore ricettivo e che piace sia ai proprietari che agli ospiti. Inoltre tutte le prenotazioni prevedono il pagamento anticipato della quota ad Airbnb che la trasferisce all’host a fine soggiorno. In pratica stanno educando il mercato a un nuovo tipo di distribuzione che mette in chiaro sia il costo della distribuzione che le garanzie offerte in cambio.

5) Esplorano tutte le opportunità: come il business travel

Sempre a San Francisco è in corso da diversi mesi il test di appartamenti selezionati per il business travel. Si tratta di una clientela esigente ma che in diversi casi può trovare comoda la flessibilità di un appartamento e che, spesso, ha un’alta disponibilità di spesa. E Airbnb è sul pezzo anche su questo trend: un’azienda dinamica che cerca continuamente nuove soluzioni

6) Dialogano e trovano accordi con le istituzioni

I problemi legati alla mancanza di normative chiare sulla sharing economy sono noti. Airbnb, al contrario di altri player, sta però spingendo verso gli accordi con il settore pubblico: a San Francisco e Parigi raccolgono la tassa di soggiorno, a Milano offrono servizi utili ai cittadini, a Londra seguono con attenzione le iniziative legislative. Un’attività di pubbliche relazioni che sta dando i suoi frutti.

7) Rappresentano la Lufthansa del settore ricettivo

Come Lufthansa ha proposto una fee per le prenotazioni via gds, Airbnb sta testando una fee aggiuntiva per le prenotazioni da Google inaugurando anche qui un nuovo paradigma: la fine della sudditanza psicologica verso Big G. Tutte le Ota si ritrovano nel paradosso di dover da una parte investire su Google in pubblicità per essere visibili e dall’altra di sottostare ai suoi capricci in termini di competizione con (quel che resta di) Google Hotel Finder oggi e con il Direct Booking in futuro. Airbnb, sempre nell’ottica di scegliere i propri canali distributivi e mantenere la trasparenza tariffaria, sta invece scegliendo una via diversa, quella di far pagare all’utente finale i costi della sua pigrizia nel voler cercare da Google e non direttamente su Airbnb. E che indirettamente sembra suggerire al futuro cliente: “Fatti furbo!”.