L’ordine esecutivo con cui il presidente Usa Donald Trump ha deciso di bloccare l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di 7 paesi (Siria, Iraq, Iran, Yemen, Sudan, Libia e Somalia), oltre a causare diversi disagi alle persone in viaggio da e per gli Stati Uniti, ha portato a una ondata generalizzata di proteste. Non solo da parte di cittadini che hanno manifestato davanti ai principali aeroporti del Paese. La novità è la presa di posizione da parte di molte aziende, soprattutto quelle maggiormente coinvolte nel settore travel.

Si tratta infatti di una misura che tocca circa l’1% dei 325.000 viaggiatori giornalieri che arrivano negli Stati Uniti. Un numero che potrebbe sembrare basso ma in realtà equivale a più di 3000 persone al giorno e oltre 1 milione di arrivi in un anno. Inoltre si teme che questa misura sia solo la prima di una serie di restrizioni che potrebbero creare non pochi problemi al business dei viaggi da e verso gli Usa.

Anche se oggi non risultano problemi sulla concessione del Visa Waiver Program ai cittadini europei (a meno che non abbiano doppia cittadinanza in uno dei 7 Paesi in black list), vengono prese molto sul serio le parole di Trump su future limitazioni verso gli arrivi dall’UE: in soli 10 giorni di mandato ha infatti già mostrato al mondo ciò di cui è capace, nel bene e nel male.

Tra le prime a prendere posizione c’è stata Airbnb che ha assicurato alloggio gratuito alle persone rimaste bloccate negli Stati Uniti a causa dell’ordinanza del tycoon.

I dirigenti di Google, per non essere da meno, hanno dato vita a un fondo dotato di 2 milioni di dollari per rispondere alla crisi dei migranti attraverso quattro organizzazioni che se ne occupano.

E Starbucks, che offre ristoro ai viaggiatori in tutto il mondo, ha annunciato che assumerà 10mila rifugiati nei prossimi 5 anni.

Le prese di posizione continuano con Trivago, che si è da poco quotata al Nasdaq: Il Ceo Rolf Schroemgens ha dichiarato alla Cnbc che gli immigrati rendono una nazione più forte e non più debole.

La protesta ha messo per una volta d’accordo i tassisti con Uber: mentre i primi a New York hanno organizzato un’ora di sciopero per protesta, per l’app di car-sharing ha parlato l’amministratore delegato Travis Kalanick definendo “sbagliato e ingiusto” il bando all’ingresso ordinato dal magnate. Dopo questa dichiarazione Uber ha anche reso noto di aver registrato un picco di disinstallazioni per la propria app. Ma questo non andrà a vantaggio del principale concorrente Lyft che ha ugualmente dichiarato la propria solidarietà agli immigrati.

Molte altre aziende hanno preso posizione contro Trump: il Ceo di Apple Tim Cook ha scritto ai dipendenti che (quella di Trump verso gli immigrati) “non è una politica che sosteniamo”. Il suo esempio è stato seguito dai Ceo di Netflix, Twitter e Tesla.

In pratica, molte delle aziende più innovative degli Usa hanno criticato apertamente il presidente. L’esatto contrario delle compagnie aeree che, invece, hanno preferito, in blocco, non commentare la notizia.